Approfondire il ruolo, le forme, le dinamiche e le conseguenze dell’invidia nella vita organizzativa per imparare a riconoscerla, aumentare la consapevolezza della sua distruttività e sviluppare strategie e comportamenti che mirino ad arginarla e a ridurne gli effetti nocivi per le persone e per l’organizzazione.
Dell’invidia sono state date numerose definizioni, che condividono tra loro molti aspetti mentre si differenziano per il fatto di privilegiarne alcuni. Tra gli aspetti condivisi possiamo ritrovare la tendenza a caratterizzarla come un’emozione di insoddisfazione e di risentimento generata dal desiderio per le proprietà, le qualità o i successi di un’alta persona e della percezione dolorosa di inferiorità che scaturisce dal confronto con quella persona. Un aspetto rilevante dell’invidia riguarda i comportamenti che è in grado di mobilitare a livello individuale, gruppale e rganizzativo, e gli effetti che ne derivano, talvolta costruttivi ma molto più frequentemente distruttivi; secondo molti studiosi di psicologia dell’organizzazione risulta chiaro come l’invidia nei luoghi di lavoro sia uno dei fenomeni distruttivi chiave, specialmente per la capacità di minare le figure di autorità e di compromettere il clima organizzativo, le relazioni di lavoro e i processi produttivi.
Le dinamiche distruttive dell’invidia sono state descritte in profondità da Melanie Klein nel suo saggio Invidia e gratitudine, dove questa emozione è considerata espressione primitiva dell’istinto di morte e viene descritta come un sentimento di rabbia che il bambino proverebbe verso il seno materno non solo quando questo è “cattivo” e frustrante, ma anche e soprattutto quando si presenta come “buono” e gratificante perché contiene qualcosa di prezioso che il bambino desidera ma che
non possiede. L’invidia così porterebbe il bambino ad attaccare il seno proiettandovi le sue parti “cattive” per danneggiarlo e distruggerlo o depredarlo.
Riprendendo e tuttavia oltrepassando le ipotesi kleiniane, Wilfred Bion nel suo saggio Attenzione e interpretazione associa all’invidia la distruzione della “funzione alfa”, di quella funzione mentale che per mezzo dei suoi fattori trasforma le sensazioni grezze nei pensieri del sogno e della veglia, e l’attacco agli oggetti che stimolano la crescita e gli aspetti più evoluti della personalità. Per Bion l’invidia può determinare anche certe dinamiche di gruppo, come quando il gruppo cerca di distruggere il “mistico”, colui che al proprio interno si fa portatore della creatività e di idee nuove.
Nei luoghi di lavoro circolano molte emozioni, sulle quali però di solito non ci si sofferma più di tanto, soprattutto perché le culture aziendali le conoscono poco, non sanno come spiegarle e soprattutto come governarle. Tra queste emozioni la più negletta è certamente l’invidia. Ciò dipende in larga misura del fatto che le persone tendono universalmente a negare di provarla, perché si tratta di un sentimento socialmente condannato e perché riconoscerla implica un’ammissione di inferiorità. Ma un contributo alla sua sottovalutazione deriva anche dalla tendenza del mondo aziendale a confonderla con l’emulazione, un atteggiamento certamente apparentato all’invidia ma capace di mobilizzare nelle persone una spinta a migliorarsi e a cercare di raggiungere i livelli dei top-performers.
Nel suo libro L’invidia al lavoro pubblicato nel 2007, Bénedicte Vidaillet osserva come questa emozione negata o misconosciuta sia «lì, in agguato nei team di lavoro, nascosta dietro l’ambivalenza che proviamo per un collega con cui lavoriamo fianco a fianco da anni, mascherata dalle reazioni dei dipendenti che gridano all’ingiustizia per non aver ricevuto una gratifica elevata come quella che è stata data ad altri». Nel considerarla all’origine di molte disfunzioni e di comportamenti aggressivi e distruttivi all’interno dell’organizzazione, Vidaillet mostra attraverso varie esemplificazioni come identificarne i sintomi nei gruppi di lavoro, come comprendere i meccanismi istituzionali che la generano e come mettere in atto delle strategie per contenerla e per evitare conseguenze devastanti.
Anche Manfred Kets de Vries nel capitolo 5 del suo saggio L’organizzazione irrazionale (2001) esplora le ricadute dei meccanismi invidiosi sulla vita organizzativa, e in particolare descrive le fonti istituzionali dell’invidia, i meccanismi di difesa e le modalità per gestirla, quelle distruttive (ad es. l’idealizzazione, il ritiro, la svalutazione, la vendetta, l’ostilità generazionale ecc.) così come quelle costruttive, la ricerca dell’eccellenza, la riparazione e la cooperazione di gruppo.