L'uomo desidera sempre un oggetto mostruoso.
E la sua vita assume valore soltanto se la consacra interamente a tale inseguimento.
Jean Giono, Pour saluter Melville, 1941, trad. it. Guanda, 2020
Articolato su due testi, il corso propone una riflessione sulle teorie psicopatologiche e psicodinamiche che spiegano, o tentano di illustrare, i meccanismi attraverso i quali l’angoscia si manifesta e si trasforma in sintomi strutturati, configurando le diverse forme cliniche.
Inibizione, sintomo e angoscia (1925), classico lavoro della riflessione matura di Sigmund Freud, si basa sulla necessità di distinguere la genesi dell’angoscia da quella dei sintomi, che vengono, quindi, posti su piani diversi. In questo il lavoro di Freud assume una dimensione psicopatologica, oltre che psicodinamica. Infatti egli ipotizza che l’angoscia origini primariamente dal trauma della nascita e della separazione dalla madre. Ciò assume innanzitutto un significato di trauma biologico vista l’immaturità del neonato come organismo e la sua totale dipendenza dalla madre senza la quale la sopravvivenza sarebbe impossibile. In seguito subentra una dimensione psicologica dell’angoscia che Freud in un primo momento mette in relazione all’angoscia di castrazione, anche se si mostra subito incerto sulla possibilità esplicativa di tale modello che in parte critica rendendosi conto della difficoltà di applicarla al genere femminile. Successivamente l’angoscia diviene tout court angoscia di morte. I sintomi (fobici, ossessivi, isterici) invece nascono dalla necessità di alleviare la tensione indotta dall’angoscia che viene così trasformata dall’apparato psichico in manifestazioni più stabili e tollerabili, anche se in parte disfunzionali.
In Mondi psicopatologici Giovanni Stanghellini e Milena Mancini introducono l’importante distinzione tra umore e affetti e illustrano il meccanismo psicopatologico secondo il quale i primi si trasformano nei secondi. L’umore è uno stato soggettivo non focalizzato e quindi molto più angoscioso, a differenza dell’affetto che, essendo focalizzato è più facile da mentalizzare ed evacuare. Inoltre l’umore si accompagna a una scarsa o nulla consapevolezza delle sue origini e motivazioni intrapsichiche, mentre l’affetto è legato a una rappresentazione da cui deriva l’idea che l’oggetto sia il responsabile dello stato di angoscia che viene così evacuato. Importante anche il concetto di organizzatore psicopatologico che viene introdotto più avanti e che è strettamente connesso al processo euristico che serve a guidare la conoscenza e la comprensione degli aspetti psicopatologici dell’altro e quindi anche al processo diagnostico. Tale dimensione si configura dunque in uno spazio intersoggettivo in cui il terapeuta mentalizza la condizione dell’altro e poi la trasforma in una dimensione linguistico-descrittiva nell’ambito del processo di diagnosi che, così, è già parte del progetto/processo di cura.