Alcune riflessioni sul rapporto tra farmaci e psicoterapia
Paolo Migone discute il rapporto tra farmaci e psicoterapia con una visione diversa da quella abituale. Ad esempio argomenta come, in un certo senso, sia già un errore porsi tale problema, perché coloro che discutono della cosiddetta “integrazione” o “associazione” tra farmaci e psicoterapia rivelano di avere una teoria della tecnica errata, stereotipata, che può portare a errori anche in una psicoterapia senza farmaci. Infatti tali colleghi separano a priori gli interventi “biologici” da quelli “psicologici”, nel senso che il dato clinico non viene interpretato, bensì considerato per il suo valore di facciata o in modo convenzionale: ad esempio possono ritenere che la prescrizione di un farmaco debba per forza avere il significato prestabilito di un attacco alla psicoterapia. La prescrizione farmacologica viene cioè concepita come qualcosa di diverso dagli interventi puramente psicologici, i quali soli sarebbero da interpretare, nel senso che potrebbero avere diversi significati. Se l’orientamento di tali colleghi è psicoanalitico, può trattarsi di una concezione anti-psicoanalitica, basata su una sorta di teoria delle etichette. In altre parole, sostiene Migone, non si capisce perché il farmaco non debba appartenere alla stessa categoria logica di tutti gli altri interventi o fatti che accadono nella relazione terapeutica. Naturalmente un farmaco può funzionare anche come placebo (o, se è per questo, come nocebo), e può avere effetti sia psicologici sia biologici che possono essere indagati, ma proprio allo stesso modo con cui un intervento psicologico (cioè non farmacologico) può avere effetti sia psicologici che biologici. Un problema sottostante che va chiarito, argomenta Migone, è quello del rapporto corpo/mente.
Alcune riflessioni su psicoanalisi e guerra
Sulla scorta del caso clinico di una paziente con diversi disturbi nevrotici che aveva mostrato l’improvvisa scomparsa di tutti i sintomi durante un periodo di guerra e la loro ricomparsa alla fine di quella guerra (si trattava della guerra del Golfo del 1990-91), Paolo Migone presenta alcune riflessioni sul temporaneo benessere che può comparire grazie alla proiezione di angosce interne su un pericolo reale esterno. Questa ipotesi psicoanalitica, di derivazione kleiniana, viene discussa in dettaglio con considerazioni anche sul disturbo da stress post-traumatico (PTSD), sul lutto e sull’effetto simile che possono avere altri eventi traumatici come calamità naturali e malattie gravi o potenzialmente terminali. In tutti questi casi certi pazienti, come mostra Migone portando anche alcuni esempi clinici, possono paradossalmente trovare sollievo perché vengono alleggeriti da angosce persecutorie, le quali trovano finalmente un senso in una realtà concreta su cui vengono proiettate.
Alcune riflessioni sul fenomeno della terza onda nella terapia cognitivo-comportamentale
Nella storia del movimento di terapia cognitivo-comportamentale vi sono state le cosiddette “onde”: la prima è il comportamentismo (anni 1950-60: Skinner, Pavlov, Watson, tecniche di condizionamento, etc.), la seconda è il cognitivismo (anni 1970-80: Beck, Ellis, introduzione di una mediazione cognitiva tra Stimolo e Risposta, col passaggio da S-R a S-O-R, dove O sta per organismo, etc.), la “terza onda” (third wave), molto più recente, è nata a cavallo del XXI secolo. Questa terza onda ha in qualche modo scosso le fondamenta della terapia cognitivo-comportamentale, rappresentando forse quella che può essere considerata una crisi, o essere vista come un ripensamento dell’intero movimento cognitivo-comportamentale. Infatti emergeva sempre più chiaramente come una terapia comportamentale o cognitiva standard presentasse problemi di efficacia, con poca stabilità del cambiamento e spesso ricadute. Ci si è resi maggiormente conto che un atteggiamento prevalentemente direttivo (cioè basato su esercizi comportamentali, compiti a casa, etc.) non è ciò di cui molti pazienti hanno bisogno: deve invece andare in parallelo con un atteggiamento opposto, in grado di controbilanciarlo, fatto ad esempio di accettazione empatica se il paziente non riesce a raggiungere gli obiettivi della terapia. La terza onda della terapia cognitivo-comportamentale quindi è meno direttiva, e uno dei suoi concetti centrali è l’“accettazione” (acceptance). Inoltre viene sottolineata la flessibilità psicologica: si comprendono maggiormente gli aspetti processuali e contestuali, si dà importanza alla mindfulness e alla meditazione, è ammessa un’importante influenza del buddismo e di altre filosofie orientali, e così via. Tra le tecniche più caratterizzanti della terza onda si possono menzionare la Acceptance and Commitment Therapy (ACT) di Hayes, il Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) di Kabat-Zinn, la Dialectical Behavior Therapy (DBT) di Marsha Linehan (DBT), etc. Paolo Migone argomenta come il fenomeno della terza onda sia molto interessante perché permette di riflettere anche sul grande rimescolamento di carte avvenuto all’interno del movimento cognitivo-comportamentale e psicoterapeutico in generale, e come in questa recente evoluzione della terapia cognitivo-comportamentale siano stati riscoperti e assimilati alcuni concetti centrali dell’approccio psicodinamico.